Il ritratto.
Difficile raccontarlo, qualificarlo, spiegarlo.
Forse potrei dire che il ritratto è un viaggio.
Un modo insolito di viaggiare, ovviamente, ma ciò non toglie nulla a questo modo di andare errando; aggiunge, semmai, una spolverata di fascino, un pizzicore di piacere un poco timido, un poco spavaldo.
Un viaggio attraverso le emozioni che si nascondono dentro di noi, in quella foresta di rovi selvatici dove la bacca parla insieme di rosa e di spina; dove le sensazioni sono così intrecciate e serrate che anche solo raccoglierne una, e guardarla, ci risulta difficile quanto raggiungere con un dito una di quelle gocciole di rugiada che rilucono nel centro ombroso del rovo, quel rovo che è la nostra anima.
Credo sia per questo che a volte usiamo un machete direttamente contro noi stessi, per farci spazio e ritagliare una bollicina di ossigeno in tutto quell’intrico.
Ma abbiamo altre vie. Esistono.
Un ritratto è un modo assai più dolce di viaggiarCi dentro.
Un modo lento e profondo, delicato ma intenso.
Al posto del machete usiamo una piroga, e scivoliamo tra le pieghe dei nostri spazi interiori.
Pieghe che a volte sanno di piaghe.
Ma abbiamo tutto un tempo lento, cullati dentro il nostro baccello, per osservare le spine, le bacche, le rose e le gocciole distillate dai rami contorti del rovo.
È questo che io spero di regalare con un ritratto.
Un tempo lento in cui si incontrano anima e pensiero.